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IL BOLLETTINO
Maestro, dove abiti? Rubrica di pastorale vocazionale a cura di p. Salvatore e p. Vincenzo

Vocazione

Un vocabolo che sempre ricorre nella vita dell’uomo.
Una parola, a tratti, anche difficile da delineare ed interpretare. Tentiamo, allora, di partire dal principio.
Rifacendoci al significato semantico, scopriamo che questo lemma ha origine dal latino vocatio cioè "chiamata, invito", derivazione del verbo vocare, ovvero "chiamare". Intendiamo, quindi, che la vocazioneè una chiamata, un richiamo per l’essere umano a quello che è il modo più vero, sensibile e genuino di vivere la propria esistenza. Insomma, potremmo dire che la vocazione è l’assidua ricerca, da parte dell’individuo, del proprio posto nel mondo e nella società. Una ricerca che ha come fine il raggiungimento della felicità, se non totale almeno parziale, e che ha come carburante di spinta l’unico possibile: l’amore. L’amore per la propria esistenza e per le persone che la rendono viva, l’amore per il prossimo, l’amore per coloro che ancora dobbiamo incontrare.
È l’amore che da senso alla vita e a tutto il creato.
Quell’amore che non si aspetta ricambio, quell’amore che sussiste vivo in un continuo circolo di donazione.
Quell’amore che viene da Dio, perché Dio è amore.
Vocazione, chiamata, dono. Tre parole che guidano una vita che vuole fondarsi sull’amore, una vita che
si rispecchia in Colui che Solo può darle senso.
Ma nel mondo di oggi, che a causa dell’uomo stesso è diventato vorace soffocatore della sensibilità e della genuinità di ognuno, è ancora possibile trovarlo questo posto? È ancora possibile vivere in modo vero la propria vocazione di vita?
Dopo quanto accaduto Domenica 15 Settembre nel Santuario di San Giuseppe in Asti, posso rispondere con assoluta certezza di Sì. I nostri amici Gennaro Falco di Parete e Michele Fiore di Foggia, uniti ai loro compagni di viaggio Alberto Ravera di Novi Ligure, al filippino Noel Cruz e ai polacchi Dariusz Olkowski e
Damian Zbignew Skòrak hanno emesso la loro prima professione religiosa.
Indescrivibile la gioia per questa celebrazione poiché, come già detto, ci da la conferma viva e vera che
a questo mondo è ancora possibile basare la propria vocazione di vita sull’amore.
Con la professione religiosa questi sei ragazzi entrano a far parte della grande famiglia Giuseppino-marelliana in qualità di fratelli. Decidono, cioè, di seguire la propria volontà di amare in pienezza Colui che da senso pieno alla vita, donandosi ad ogni sua creatura, perseverando nei consigli evangelici di povertà, castità ed obbedienza attraverso gli insegnamenti del fondatore San Giuseppe Marello, nell’imitazione di San Giuseppe custode del Figlio di Dio.
I ragazzi assumono, per cui, il “titolo” di Oblati.
<<L’Oblato è colui che si offre continuamente a Dio, nascostamente e silenziosamente operoso.>> affermava, con risolutezza, nei suoi scritti San Giuseppe Marello, un uomo che ha dipinto con i colori della straordinarietà le cose di tutti i giorni e ha invitato alla santità ognuno, in qualunque stato di vita appartenesse.
Egli affermava che a tutti è aperta la via della Santità; che non c’è bisogno di gesti eclatanti o eroici per esser considerati agli occhi di Dio. Basta portare avanti, con amore e dedizione, il compito che Egli ci ha affidato.
Proprio come ha fatto San Giuseppe che, senza gesti eclatanti, ha saputo crescere il Redentore del Mondo in sapienza e grazia.
La celebrazione, presieduta dal Vicario Generale della Congregazione degli Oblati di San Giuseppe Padre John Attuli, ha visto la partecipazione di una gran folla di persone, venuta a festeggiare i neo professi, e di oltre trenta sacerdoti; in particolare dei superiori provinciali delle province oblate della Polonia, del Sud e del Nord Italia: Padre Marek Maziarz, Padre Francesco Russo e Padre Luigi Testa.
Auguriamo di cuore a questi ragazzi di perseverare con gioia sulla via dell’amore.

Michele Antonio Santoro

© 2003 Editrice Rotas - Barletta. Tutti i diritti riservati.